All’epoca in cui Taranto era capitale della Magna Grecia, le sirene giunsero al largo delle sue acque e, rimaste affascinate dal suo mare cristallino, decisero di costruirvi il loro castello.
In paese viveva una giovane coppia di sposi: lei di una bellezza disarmante; lui un attraente pescatore che, a causa del suo mestiere, stava intere giornate lontano da casa. Approfittando dell’assenza dell’uomo, un ricco signore del luogo iniziò a corteggiare la giovane ragazza in una maniera talmente insistente che alla fine lei cedette.
Schiacciata dal rimorso, la donna confessò tutto al marito il quale, l’indomani, la condusse in alto mare con la sua barca. L’uomo, in preda alla rabbia, la spinse in acqua, consapevole del fatto che non sapesse nuotare. In soccorso della giovane donna giunsero le sirene, che, affascinate dalla sua straordinaria bellezza, decisero di incoronarla loro regina chiamandola Schiuma (Skuma per i tarantini), dal momento che era giunta a loro grazie alle onde. Da allora la regina Skuma iniziò una vita piena di agi e lussi che tuttavia non la resero felice.
Pentito del suo brutale gesto, il marito ritornava ogni giorno nel punto in cui aveva visto annegare la sua bella moglie e iniziava a piangere per la disperazione. Le sirene, notando il prestante pescatore, lo indussero a gettarsi in mare intonando uno dei loro canti. Una volta in acqua, le creature lo condussero al cospetto della loro regina la quale, riconoscendolo, chiese loro di non ucciderlo. Le sirene ubbidirono e lo riportarono a riva.
Al suo risveglio, il giovane uomo capì che nulla era perduto e che doveva trovare un modo per ritornare con la sua amata sposa. In suo soccorso arrivò una fata, la quale gli rivelò che l’unico modo per liberare Skuma dalle sirene era quello di rubare il fiore di corallo bianco dal loro giardino e di consegnarlo a lei.
Il mattino seguente, l’uomo ritornò in quel tratto di mare e urlò il nome della moglie affinché lo sentisse. Skuma, fuggendo dal castello, riuscì a raggiungerlo e, insieme, elaborarono un piano per impadronirsi del fiore di corallo bianco: distrarre le sirene con bellissimi gioielli posti all’interno di una barca in modo tale che lasciassero incustodito il castello. Il piano riuscì e Skuma poté consegnare il fiore alla fata.
Due finali alternativi della leggenda della sirena
Da questo punto in poi la tradizione popolare attribuisce due differenti finali alla leggenda. Secondo una prima versione, la fata creò con la sua bacchetta un’enorme onda attraverso la quale le sirene vennero trascinate via dal golfo di Taranto. Skuma e il pescatore, risparmiati dall’onda, poterono così tornare insieme e vivere felici e contenti per sempre.
In base ad una seconda versione, molto più drammatica, l’onda sollevata dalla fata trascinò con sé anche il giovane pescatore per sempre. Skuma, distrutta dalla perdita, decise di diventare suora e rinchiudersi in una delle torri del Castello Aragonese, ossia nella Torre della Monacella, chiamata così proprio per la storia della sirena di Taranto. Secondo una leggenda popolare sembrerebbe che, nelle notti di plenilunio, Skuma appaia sul Golfo di Taranto vestita da monaca e si aggiri nella speranza di ritrovare l’amato perduto.
Significato della leggenda della sirena Skuma
La leggenda della sirena di Taranto ha in sé un significato molto profondo. La storia narra di un amore tra un uomo ed una donna che, in quanto essere umani, hanno difetti e debolezze. È un amore imperfetto ma allo stesso tempo vivo ed intenso, nonostante il tradimento inziale. Skuma ed il pescatore hanno saputo perdonarsi e imparare dai propri errori.
Se all’inizio della storia si è sopraffatti da un sentimento di repulsione verso Skuma a causa del suo tradimento, alla fine della storia si prova quasi pena per entrambi, pentiti delle loro azioni.
È una leggenda romantica attraverso cui ci si rende conto dell’importanza del perdono, sia in amore sia in qualunque altro rapporto, e della necessità di eliminare dalla propria vita l’odio e il desiderio di vendetta.
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